Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di greenwashing. Difficile, di questi tempi in cui siamo diventati tutti (o quasi) molto più sensibili alle tematiche legate alla salvaguardia dell’ambiente, nella consapevolezza di quanto questo si rifletta inevitabilmente (anche) sulla nostra vita.
Il greenwashing nella moda
Ebbene, il greenwashing è un ambientalismo di facciata: consiste in una strategia di comunicazione che proclama l’impegno ecologico, ma non trova alcun riscontro nella realtà. Lo mettono in atto le aziende quando comunicano una politica green, senza incidere realmente in maniera positiva sull’ambiente, attraverso campagne di marketing poco chiare che tendono un tranello ai consumatori.
Comportamenti di questo genere sono particolarmente diffusi nell’industria della moda, caratterizzata dall’avanzata del fast fashion, che propone prodotti molto economici e di bassa qualità, destinati a deteriorarsi presto per essere sostituiti da altri prodotti simili. Un processo in continua crescita, tanto che ora si parla di ultra fast fashion con l’avvento di alcuni marketplace globali in grado di abbassare ancora di più i prezzi, sempre a svantaggio dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori che li producono dall’altra parte del mondo.
Attenzione alle dichiarazioni ambientali dei brand
Per operare scelte realmente ecosostenibili è importante leggere bene le etichette dei capi che vogliamo acquistare. Ma l’inganno si può nascondere proprio qui. Spesso, infatti, attraverso le cosiddette autodichiarazioni ambientali, le aziende si mostrano molto più green di quanto non siano effettivamente.
Facciamo qualche esempio per capire meglio: alcuni marchi pubblicizzano prodotti con cotone biologico o organico che in realtà hanno solo una piccola percentuale di tale materia prima, oppure propongono delle linee “sostenibili”, “consapevoli” o “green” che rappresentano una piccolissima parte dell’intera produzione, ancora tutt’altro che ecologica.
Uno dei cavalli di battaglia degli esponenti del fast fashion è l’utilizzo della plastica per realizzare indumenti. Ma la verità un'altra: una volta che le bottiglie in PET vengono riciclate in vestiti è improbabile che questo materiale venga riciclato di nuovo. Diventerà quindi un rifiuto, mentre se le bottiglie in PET fossero trasformate in nuove bottiglie potrebbero essere raccolte e riciclate più volte, creando una reale circolarità.
Una circolarità fasulla
L'industria della moda sta comunicando una narrativa alternativa e fuorviante sulla circolarità e la sta promuovendo come soluzione ai suoi impatti ambientali e sociali, senza riconoscere che il rallentamento della produzione e dei consumi dovrebbe essere l'obiettivo principale di qualsiasi iniziativa di “sostenibilità”.
Secondo uno studio della Commissione Europea, oltre la metà delle dichiarazioni ambientali esaminate nell’UE risultano vaghe e fuorvianti e il 40% infondate. L’assenza di norme comuni per le aziende che fanno volontariamente dichiarazioni verdi porta al greenwashing e crea condizioni di concorrenza ineguali nel mercato, a svantaggio delle aziende veramente sostenibili.
La Direttiva "Green Claims"
Il settore tessile è strategico per consentire il passaggio a un’economia circolare e climaticamente neutra, in cui i prodotti siano progettati per essere più durevoli, riutilizzabili, riparabili, riciclabili ed efficienti dal punto di vista energetico. Ecco perché, la Commissione Europea, nel marzo 2023, con la proposta di Direttiva “Green Claims”, ha definito criteri comuni contro il greenwashing e le dichiarazioni ambientali fuorvianti in ogni settore produttivo (non solo quello tessile).
Secondo tale proposta, quando le aziende scelgono di fare una “dichiarazione verde” sui loro prodotti o servizi, dovranno rispettare norme minime su come comprovano tali affermazioni e su come le comunicano. In particolare, le loro dichiarazioni dovranno essere verificate in modo indipendente e dimostrate con prove scientifiche, identificando gli impatti ambientali rilevanti e fornendo un quadro completo e accurato.
Ordine nelle etichette ambientali
La tutela dei consumatori prevede anche di affrontare la proliferazione delle etichette ambientali pubbliche e private. Attualmente ne esistono oltre 200 e ciò crea confusione e sfiducia nei consumatori.
In questo senso, la direttiva vieta la nascita di nuovi sistemi di etichettatura pubblica, a meno che non vengano sviluppati a livello comunitario. Inoltre, qualsiasi nuovo sistema privato dovrà mostrare ambizioni ambientali più elevate rispetto a quelli esistenti e ottenere una pre-approvazione per essere consentito.
I prossimi step
La Direttiva “Green Claims” modifica le direttive 2005/29/CE (sulle pratiche commerciali sleali) e 2011/83/Ue (sui diritti dei consumatori) in relazione alla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.
Approvato dal Parlamento Europeo il 17 gennaio 2024, il testo ora attende solo l’ok formale del Consiglio UE e la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale per entrare in vigore. Spetterà poi ai singoli Stati membri emanare la legge nazionale di recepimento della direttiva.
Per approfondire
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_23_1692
Il decalogo per la moda sostenibile | Cultura e Consapevolezza Ambientale (mase.gov.it)
Lo smaltimento dei rifiuti tessili | Cultura e Consapevolezza Ambientale (mase.gov.it)